Rispetto all’attuale Wi-Fi 6, il Wi-Fi 7 vuole offrire più velocità e capacità, con una latenza dimezzata.
Negli ultimi mesi hanno iniziato a comparire router e dispositivi compatibili con il nuovo standard Wi-Fi 6E, ma già si parla di Wi-Fi 7. In realtà le specifiche di quest’ultimo devono ancora essere approvate dall’ente IEEE (si parla di maggio 2022) e i primi dispositivi sono attesi per il 2024. Il nuovo standard risponderà al nome IEEE 802.11be. Nel frattempo c’è dunque spazio per il Wi-Fi 6E, la cui novità principale sta nell’introduzione della banda aggiuntiva a 6 GHz, a fianco di quelle tradizionali da 5 e 2,4 GHz. Una possibilità in più che serve soprattutto a decongestionare il traffico di rete, non tanto ad aumentare la velocità delle singole connessioni.
Qui entra in gioco Wi-Fi 7, che promette prestazioni mai viste prima, inizialmente nell’ordine dei 6 Gbps ma con possibilità di arrivare anche a 40 Gbps, in aggiunta a una latenza più bassa e a un’efficienza superiore. Per ottenere lo scopo, Wi-Fi 7 prevede l’uso di un canale a 320 MHz nello spettro dei 6 GHz, combinando due canali a 160 MHz, quindi con un raddoppio delle prestazioni rispetto a uno singolo che è quello che può al massimo utilizzare lo standard Wi-Fi 6E. Le capacità multi-link di Wi-Fi 7 possono essere usate anche in modalità switching, lavorando indifferentemente sulle bande a 2,4, 5 e 6 GHz. Il dispositivo client inizia un trasferimento dati su una banda disponibile, per poi passare a un’altra prima di iniziare un secondo trasferimento.
Questo serve a ridurre la latenza e decongestionare il traffico di rete, liberando risorse per altri dispositivi che magari non riescono a effettuare lo stesso “trucco”. Sottolineiamo che Wi-Fi 7 è compatibile con tutti gli standard precedenti.
C’è una migliore gestione delle interferenze nel Wi-Fi 7 grazie alla tecnica Preamble Puncturing, che isola le porzioni di canale con disturbi continuando a operare su quelle contigue; la velocità di trasferimento dati sarà leggermente ridotta ma la connessione sarà più stabile. Viene introdotta la modulazione 4096-QAM, teoricamente presente su Wi-Fi 6E e ora pienamente sfruttata nel Wi-Fi 7, più una serie di ottimizzazioni a carico della tecnologia Mu-Mimo.
Avg Driver Updater offre strumenti e funzioni che permettono di mantenere aggiornate le periferiche di sistema.
L’aggiornamento dei driver costituisce una tappa fondamentale per avere un Pc sempre in buona salute. Di contro, la presenza di uno o più driver obsoleti può causare problemi nelle prestazioni o nell’affidabilità, rischiando di compromettere l’operatività quotidiana. Questo non solo in termini di velocità, ma anche di sicurezza, considerando che un driver non aggiornato può essere vulnerabile e quindi offrire un punto di accesso a un eventuale attacco virale. Appare allora evidente quanto sia importante disporre di un software che si preoccupi di scansionare il sistema con l’obiettivo di aggiornare automaticamente i driver. Avg Driver Updater è stato progettato proprio per questo scopo. Forte di un archivio che può contare su oltre 1.300 produttori di hardware, promette la piena affidabilità.
Avg Driver Updater analizza periodicamente lo stato dell’arte e poi fornisce all’utente un resoconto dettagliato della situazione. L’installazione dell’applicativo è semplice, ed è disponibile anche una versione di prova gratuita, utile per testarne l’interfaccia e le funzioni.
Scansiona
Completata l’installazione, il primo passo consiste nel fare clic su Scansiona driver per avviare il processo di verifica. Trascorsi pochi secondi si ottiene il risultato dell’analisi, con il responso che riporta il numero dei driver obsoleti individuati nel sistema, con il relativo elenco delle anomalie riscontrate. Accanto a ogni voce sono presenti una casella di selezione, un’icona per identificare la tipologia del driver (audio, Usb, sistema e così via) e il collegamento Mostra dettagli che permette di accedere a una nuova schermata popup in cui poter approfondire la versione, l’autore e la data di rilascio del driver di riferimento tra quello più aggiornato e quello che invece è installato sul sistema, allo scopo di offrire all’utente tutte le informazioni importanti. Le azioni che l’utente può compiere sono di fatto tre: aggiornare il driver corrente, ignorare l’aggiornamento o escludere il driver da eventuali nuove ricerche.
Aggiorna
L’attivazione della procedura di aggiornamento, singolarmente per un singolo driver o in maniera massiva, ha luogo attraverso il pulsante Aggiorna selezionati. Parte così un processo la cui durata dipende ovviamente dalla complessità dell’operazione, legata a variabili tra cui il numero e la tipologia dei driver da aggiornare. Ciò che viene raccomandato all’utente è di seguire ogni eventuale indicazione del programma e riavviare il Pc nel corso dell’operazione solo se espressamente indicato a video. In alcuni rari casi, potrebbe capitare che il programma non riesca ad aggiornare un driver in modo corretto, e perciò mostri il messaggio Impossibile aggiornare il dispositivo. Se ciò accade, è buona norma proseguire per completare l’aggiornamento dei driver obsoleti restanti o chiudere l’operazione nel caso in cui non dovessero essercene.
Aggiorna singolarmente
Avg lascia l’utente libero di operare, consentendo di gestire i driver singolarmente. Tra le altre azioni permesse, si segnala quella grazie alla quale si può salvare una copia di backup delle versioni precedenti del driver, da prendere in considerazione qualora fosse necessario sbloccare una eventuale situazione di stallo. Interessante anche il fatto che l’app avvisi l’utente nel caso in cui tra i driver installati ve ne fossero di vulnerabili, così definiti perché introducono potenziali porte d’ingresso per eventuali attacchi al sistema. Come appare evidente, l’aggiornamento di driver ritenuti vulnerabili ha la massima priorità per garantire la sicurezza.
Nel caso in cui dovessero invece subentrare particolari problematiche a seguito di un aggiornamento, attraverso l’opzione Risolvi subito l’applicazione attiverà un sistema di intervento che, in base al problema riscontrato, indirizzerà l’utente verso la relativa risoluzione, suggerendo di procedere al ripristino dei driver il cui aggiornamento potrebbe aver causato la criticità riscontrata.
Gestire le impostazioni
L’interfaccia del programma è dotata di una sezione Impostazioni, interna alla voce Menu, che ospita le sottosezioni Informazioni generali e Driver Updater. Nella prima trovano posto le opzioni Lingue, che consente di scegliere tra diverse alternative (compreso anche l’italiano) e Notifiche, la cui attivazione abilita l’invio di alert quando il programma rileva driver obsoleti.
Ci sono anche le voci Privacy personale, dove si sceglie se condividere i dati sull’utilizzo dell’app con Avg per contribuire a migliorare la ricerca software o a fini di marketing. Risoluzione dei problemi, attraverso cui si possono salvare log degli errori, creare punti di ripristino del sistema e inviare report su eventuali arresti anomali. Ci sono poi le voci Impostazioni sviluppatore e Aggiorna Driver Updater.
La prima permette di mantenere attivo il programma alla chiusura. Azione che consente alle scansioni in background e agli elementi grafici di continuare con l’operatività anche quando si chiude l’app. La seconda consente invece di scegliere tra aggiornamenti in background, controllo delle nuove versioni all’apertura con possibilità di aggiornare il programma in automatico alla chiusura o aggiornamenti manuali. Driver Updater, invece, offre un collegamento alla cartella in cui Avg Driver Updater salva le versioni precedenti dei driver.
Conclusioni
Avg Driver Updater offre all’utente un efficace strumento software di gestione dei driver. Se da un lato l’applicazione copre un vasto ventaglio di produttori e quindi di dispositivi hardware (l’azienda parla di oltre 8 milioni di driver), dall’altro la sua interfaccia semplice e intuitiva permette a chiunque di entrare subito in azione con l’esecuzione automatica delle scansioni. Inoltre, i dettagli offerti sul singolo driver garantiscono un elevato livello di informazione. La funzione di ripristino che permette di ritornare alla versione precedente di un driver, a seguito di criticità successive all’installazione di un aggiornamento, offre la concreta possibilità di sbloccare fastidiose situazioni di stallo.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia, che per dovere di cronaca è giusto evidenziare. Manca per esempio uno strumento di pianificazione, che renda possibile schedulare scansioni automatiche periodiche allo scopo di monitorare lo stato dei driver. Certo, esiste l’opzione che mantiene attive le scansioni in background, ma l’esecuzione permanente non è certo la strada migliore per ottimizzare l’uso delle risorse. Rispetto alla concorrenza, manca anche una funzione di ottimizzazione delle prestazioni del Pc. Alcuni software di gestione dei driver la includono già al loro interno (pensiamo per esempio a Driver Genius o Smart Driver Updater).
Prezzo
A questa considerazione se ne accompagna un’altra legata al prezzo del prodotto. Avg Driver Updater offre un periodo di prova gratuita pari a 30 giorni, terminati i quali l’utilizzo sarà soggetto alla sottoscrizione di un abbonamento. Il costo di licenza parte da 39,99 euro all’anno, un prezzo piuttosto elevato rispetto agli altri concorrenti. Per esempio, la licenza annuale del già citato Driver Genius costa 29,95 dollari Usa, mentre per la versione Pro di Smart Driver Updater è previsto un costo di 39,90 euro una tantum.
Con i suoi 900 grammi l’X1 Nano è il Thinkpad più leggero di sempre, inoltre ha un ottimo display e prestazioni elevate. Il telaio utilizza materiali pregiati ed è un campione di maneggevolezza.
Il Thinkpad X1 Nano è un ultraportatile ancora più “estremo” rispetto al pur compatto X1 Carbon. Ha un display da 13 pollici ma un peso inferiore al chilogrammo, non rinuncia a nulla e anzi offre tanto, come il modem 4G o 5G integrato (su alcune configurazioni). È spesso appena 1,3 cm ma è estremamente robusto: il telaio è costruito in un mix di magnesio e fibra di carbonio e non ci sono flessioni pericolose. Anche premendo con decisione su un angolo del display, molto sottile anch’esso, non succede nulla.
La tastiera ha dimensioni molto ridotte e questo è inevitabile; la corsa è molto corta e il feeling è abbastanza lontano da quello di altri Thinkpad, compreso l’X1 Carbon. Alcuni tasti hanno dimensioni molto più piccole rispetto agli altri, per esempio tutta la fila dei tasti funzione. Il touchpad è ampio e preciso, al centro della tastiera troviamo il classico Trackpoint, segno distintivo di tutti i Thinkpad. La tastiera dell’ X1 Nano è retroilluminata ed è resistente ai liquidi.
Il monitor Ips ha un rapporto d’aspetto di 16:10, più squadrato rispetto al classico 16:9 e la cosa ha molto senso in un notebook per l’utilizzo lavorativo. Il pannello è di ottima qualità, molto luminoso (450 nits) nitido e ben contrastato, con colori vivi ma realistici. Come opzione è disponibile il touchscreen, ma su un notebook tradizionale ci sembra inutile. L’espandibilità dell’ X1 Nano è minima, troviamo due porte Usb Type-C nel nuovo standard 4 che veicolano anche il segnale Thunderbolt 4 e l’uscita video DisplayPort.
Non c’è altro nell’X1 Nano, a parte il jack audio da 3,5 mm; comunque sono le stesse porte che offre il MacBook Air. La parte inferiore del telaio è rimovibile, la Ram è saldata ma si può sostituire il disco Ssd o la batteria in caso di guasto.
La nostra configurazione è di fascia intermedia e prevede un Core i7 di undicesima generazione e un Ssd da 1 terabyte. Il quantitativo di memoria Ram è fissato in 16 GB per tutti i modelli. Il Core i7-1160G7 è un processore con quattro core/otto thread con frequenza massima di 4,4 GHz su singolo core e Tdp configurabile tra 7 e 15 watt. Integra una Gpu Iris Xe con 96 unità di esecuzione, adeguata per un ultraportatile del genere.
Questo X1 Nano, nonostante le piccole dimensioni e un processore potente all’interno, è silenzioso e produce poco calore persino con un carico di lavoro importante. Durante i benchmark il Core i7 ha funzionato alle frequenze previste, 4 GHz e oltre con un singolo core impegnato, tra i 2,5 e 3,5 GHz con tutti i core. Diverso il discorso con i giochi 3D, in questo caso si avverte un certo riscaldamento e la ventola aumenta il numero dei giri, ma non in maniera fastidiosa e in ogni caso i giochi non sono certo il settore ideale per un notebook del genere.
Quello che più si nota è l’ottima velocità del sistema in ogni situazione, a partire da un avvio fulmineo fino al multitasking spinto senza rallentamenti. L’X1 Nano tra l’altro è certificato Intel Evo. I 16 GB di Ram aiutano non poco; l’unità Ssd è di fascia economica e non sfrutta il bus Pci Express 4 del processore, ma nel complesso si comporta bene. Si sente a volte la necessità di una porta Usb full size, è una buona idea pensare a una piccola docking station che aumenti un po’ l’espandibilità. Sorprende il fatto che nel telaio si è trovato spazio per quattro speaker, due tweeter e due woofer, con supporto Dolby Atmos. La qualità è buona, anche se ad alti volumi si sente qualche distorsione. La webcam 720p invece è di qualità molto modesta, ha uno sportellino meccanico per salvaguardare la privacy.
Ottima infine l’autonomia della batteria, che raggiunge le 10 ore con utilizzo da ufficio e navigazione Web. C’è anche la ricarica rapida che in un’ora permette di arrivare all’80%. L’alimentatore è da 65 watt e anch’esso è compatto e leggero.
L’X1 Nano è un vero gioiello che costa come tale, d’altronde è uno dei notebook Windows più leggeri del mondo. Minuscolo e sempre maneggevole, perfetto per l’uso in aereo, ha un pregiato telaio molto resistente e un display da 13” di ottima qualità. Buona l’autonomia della batteria e c’è anche il modulo 4G/5G opzionale. Che dire, un gioiellino superleggero, nano nel nome ma non nelle caratteristiche.
Waveful vuole riunire in una sola app il meglio di Instagram, Facebook e TikTok e in più offre la possibilità, a chi pubblica più post, di monetizzare la sua presenza.
Mentre Mark Zuckerberg minaccia di toglierci Facebook e Instagram se l’Unione Europea non cambierà le proprie regole sul trasferimento dei dati (ma noi non ci crediamo per niente). Una coppia di fratelli diciottenni lombardi ha messo in piedi un social network tutto italiano, con l’ambizione di prendere il meglio dai social più diffusi. Nata nel 2020 come un modo originale per divertirsi con i loro amici, l’app Waveful è cresciuta moltissimo nel 2021 superando i 100.000 download e iniziando a diffondersi in tutta Italia. Anche grazie al suo particolare sistema di affiliazione che consente a chi pubblica un gran numero di post di ottenere fino al 50% dei guadagni.
Waveful è, in pratica, una piattaforma di contenuti multimediali che imita parte delle funzioni presenti su Instagram, Facebook e TikTok. In altre parole personalizzandole con una dose di giochi e sfide all’italiana. Il simbolo della piattaforma è l’immagine di un’onda, che non a caso in inglese si traduce Wave. Nella lingua di Albione Waveful indica il contenuto in acqua dell’onda che può crescere enormemente e trasformarsi in uno tsunami.
Come tutti i social network, anche Waveful alla fine non è altro che una sequenza di post che contengono immagini, video, testi e volendo anche solo audio. A differenza degli altri social, Waveful si distingue però per la possibilità di personalizzare il proprio profilo attraverso dei badge legati al numero dei Like, dei follower e delle visualizzazioni. Un ‘altra particolarità è la presenza dei Super Like, cioè degli speciali Like che indicano un apprezzamento ancora maggiore per un determinato contenuto. I Super Like possono essere ottenuti acquistandoli nello stare o abbonandosi alla versione Premium dell’app e forniscono un vantaggio economico per chi Ii riceve. Un’altra caratteristica unica di Waveful è la possibilità di ottenere l’account Creator per chi raggiunge almeno 1.000 visualizzazioni sui suoi post.
I Creator avranno la possibilità di realizzare degli Tsunami, cioè delle comunità divise per categorie, all’interno delle quali è possibile iscriversi e inserire contenuti legati a specifici settori. Ciascun utente può conversare via chat con le persone che segue. Nella prossima versione dell’app è prevista la possibilità di effettuare chat di gruppo anche all’interno dei singoli Tsunami. Oltre ai due fondatori, al momento lavorano su Waveful cinque persone, impegnate soprattutto nella gestione degli Tsunami. La speranza naturalmente è che nel 2022 continui la crescita dell’app agli stessi ritmi del 2021. Anche se a questo punto l’anima italiana dell’app potrebbe iniziare a diventare stretta.
Dopo avere scaricato l’app Wafeful dagli store di Android e iOS, dovremo per prima cosa registrarci inserendo i dati della nostra email oppure utilizzando il nostro account di Facebook o Instagram. Una volta confermata la registrazione, consigliamo di guardare come funziona l’app facendo clic sull’icona Home presente nella barra inferiore e scorrendo i vari post. Ci accorgeremo subito che la maggior parte di questi è costituita da immagini e in qualche caso da brevi video divertenti. Meno frequentemente potremo vedere post solo testuali o anche solo audio, in pratica simili ai vocali di WhatsApp. Nella parte superiore di ciascun post, accanto all’icona dell’onda, potremo vedere la community (ovvero lo Tsunami) a cui appartiene.
Se l’argomento ci interessa, facendoci clic sopra potremo visualizzare tutti i post appartenenti a quello Tsunami. A questo punto potremo iniziare a pubblicare il nostro primo post. Basta fare tap sul simbolo + in basso per aprire la finestra che ci farà scegliere il tipo di contenuto che ci interessa creare: fotografico, video, da un’immagine già presente sullo smartphone oppure solo audio. Nel nostro caso abbiamo selezionato l’immagine di una bicicletta che avevamo sul telefono, abbiamo usato uno dei filtri disponibili e abbiamo inserito due righe per la descrizione.
Avremmo potuto inserire emoji e testi sull’immagine, esattamente come si può fare sugli altri social e soprattutto avremmo potuto taggare, cioè collegare, il nostro post a uno Tsunami semplicemente cliccando sul simbolo dell’onda. Infine facendo tap sul simbolo del cronometro è possibile impostare il tempo in cui sarà visibile, scegliendo tra 6, 12, 24, 48 ore. Se invece non selezioniamo nulla, il nostro post resterà visualizzato in modo permanente.
Per scoprire gli Tsunami che stanno avendo maggior successo e sufficiente fare tap sull’icona della lente d’ingrandimento presente nella barra inferiore dell’app e selezionare quelli che ci interessano. Potremo così vedere un breve sommario e le regole di ciascun gruppo, che di solito riguardano il divieto di inserire contenuti violenti o sessualmente espliciti.
Per iscriversi al gruppo basta un tap su Unisciti e da questo momento potremo inviare i nostri contenuti all’interno dello Tsunami. E consigliabile scegliere gli Tsunami più frequentati, in quanto permettono di diventare più facilmente Creator.
Una volta raggiunte le 1.000 visualizzazioni, potremo chiedere di diventare Creator e quindi saremo in grado di realizzare degli Tsunami, cioè delle community personalizzate. E sicuramente questa la principale differenza rispetto ai classici social in cui solamente chi ha un bacino di follower e di visualizzazioni di decine di migliaia di utenti può ambire a monetizzare il proprio lavoro attraverso delle sponsorizzazioni dirette.
Con Waveful, invece, possono bastare anche solo un migliaio di visualizzazioni, ma occorre precisare che il movimento complessivo dei post di Wafeful è enormemente inferiore rispetto a quello di Instagram e TikTok. La speranza degli sviluppatori e dei tanti Creator è che in questo 2022 si metta in moto un vero e proprio ”tsunami social” che porti un numero sempre maggiore di persone a pubblicare e a frequentare la piattaforma. Le premesse ci sono tutte, così come le possibilità di personalizzare i propri contenuti e interagire direttamente con gli altri utenti attraverso le chat, cosa non sempre possibile all’interno di altri social.
Matrix: un nuovo standard aperto che promette di rivoluzionare il mondo delle comunicazioni online, consentendo di legare insieme le piattaforme di fornitori diversi e messaggiare su più canali.
Una piattaforma di messaggistica unica che permette di mettere tutti in contatto. Utenti fissi e utenti smartphone, utenti di Facebook, WhatsApp, Twitter, Messaggi di Apple, Telegram, SMS. Mille modalità di scambio di messaggi che oggi sono sparpagliate attraverso sistemi e canali proprietari di decine di aziende diverse.
Una babele di messaggi
E questo il sogno della fondazione Matrix.org. Creare un protocollo decentralizzato per la comunicazione, che permetta di sfruttare piattaforme e server diversi, in modo da non essere bloccabile e censurabile. Ma non è solo questo. I creatori di Matrix, il cui nome non a caso è ispirato a uno dei miti più “caldi” del ciberspazio, cioè la serie di film di fantascienza con Keanu Reeves come protagonista, hanno sogni più ambiziosi.
Quello che vorrebbero, infatti, è creare una rete che permetta a piattaforme diverse di dialogare senza che ci sia un unico “proprietario” del formato e dei dati. Anzi, la ”sovranità digitale”, come la chiamano, sarà quella di chi effettivamente possiede e immette i dati in Rete.
Come funziona
La differenza rispetto ai meccanismi creati dalle piattaforme commerciali è centrata su un aspetto fondamentale ovvero le conversazioni sono condivise tra i vari server. Non c’è un centro che viene controllato da una singola azienda (come accade con Telegram, per esempio). Oppure dove i server di una specifica piattaforma sono controllati da una singola azienda (come accade con lo standard di Discord). Invece, con Matrix se anche un server dovesse andare offline, o essere spento per qualche motivo, la conversazione proseguirebbe con gli altri server connessi.
In pratica, un utente può configurare Matrix per ricevere i messaggi dai propri account di altri sistemi di messaggistica (come Skype, Discord, Slack e altri), riceverli e rispondere sempre dallo stesso posto. E’ una funzionalità che fa da ponte tra i diversi sistemi e permette, per esempio, di controllare più account da un’unica applicazione.
Il client perduto
Per usare Matrix occorre scaricare e installare un’app. Ne esistono di varie, tutte sviluppate dalla comunità Open Source partendo dal protocollo condiviso di Matrix. Element (element.io) è quella consigliata dalla fondazione Matrix, ma in realtà ne esistono varie altre: Fractal, NeoChat, FluffyChat, Mirage. Oltre al software, è necessario anche un server per registrare il proprio account pubblico e questo può essere fatto su un proprio server (ma è complicato e richiede competenze tecniche sostanziali). Oppure su uno di quelli gratuiti messi a disposizione dalla comunità, a partire da quello all’indirizzo Web.
Tutti i ponti di Matrix
Matrix supporta il collegamento di servizi di chat diversi al suo interno e permette di comunicare del testo ma anche immagini e video. Il sistema usato da Matrix si chiama “bridge” (“ponte”, in inglese) e viene offerto di serie per Gitter, Ire, Slack e lo standard Xmpp (cioè Jabber). Essendo un progetto Open Source, anche la community collabora alla realizzazione di altri “ponti” per altri servizi.
In particolare, oggi sono supportati: WhatsApp, Messaggi di Apple, Facebook e Google, Discord, Mastodon, i feed di Twitter, Skype, Telegram, WeChat, Signal, GroupMe e anche gli SMS. Una soluzione unica per legare tutti i sistemi di messaggistica. Il vantaggio è che i ponti consentono anche di salvare i messaggi e sfruttare per esempio i bot (software automatici che compiono azioni quando arriva un messaggio da un certo canale con un certo testo).
Grazie alle app disponibili per i tanti servizi forniti dalla Pubblica Amministrazione, da quelli fiscali a quelli medici o automobilistici, è finalmente possibile dire addio una volta per tutte alle file di ore nei vari uffici per ottenere il certificato che ci serve.
Siamo convinti che gran parte dei nostri lettori possa raccontare esperienze disastrose nei loro rapporti con la Pubblica Amministrazione. Come ad esempio attese di ore al telefono o di persona con in mano un numerino. La burocrazia è sempre stata una delle bestie nere di noi italiani, ma ora sembra che qualcosa stia finalmente cambiando.
Le nuove app della Pubblica Amministrazione sono sicuramente complesse. Eppure sembrano funzionare abbastanza bene, anche quando si tratta di gestire miliardi di dati fiscali, medici o automobilistici. In realtà l’app IO, quella cioè che dovrebbe mettere a disposizione dei cittadini gran parte delle informazioni che li riguardano, è probabilmente quella che al momento funziona meno. Si è rivelata utile per controllare l’andamento del cashback e dei vari bonus. Mentre sono ancora pochi i comuni convenzionati che permettono di utilizzarla per necessità importanti come l’iscrizione dei bambini alla scuola materna o alla mensa.
Trattandosi di app che gestiscono dati riservati è indispensabile che siano a prova di pirata. Per questo viene richiesta per tutte l’identità digitale SPID. Oppure in alternativa la Carta di Identità Elettronica con il PIN, che pochi però hanno a disposizione. In ogni caso sono ormai oltre 26 milioni (dati ufficiali fino a novembre) gli italiani che dispongono dell’identità SPID. Ottenerne una è sempre più semplice: basta recarsi in un ufficio postale o farsi riconoscere da un’app come PostelD.
Stiliamo una breve guida sulle app utili per la Pubblica Amministrazione che a nostro parere sono indispensabili per i cittadini sia in ambito medico (Fascicolo Sanitario), che fiscale (Equiclick), che automobilistico (iPatente). L ‘ultima arrivata, poi, non è nemmeno un app, ma un sito Internet (anpr.interno.it) da cui scaricare tutti i certificati anagrafici in carta libera e da bollo. Lo abbiamo provato e siamo riusciti ad avere in pochi secondi il certificato che ci serviva. Sembra proprio che le file agli uffici anagrafe saranno solo un brutto ricordo!
Per accedere a tutti i servizi della Pubblica Amministrazione è ormai indispensabile avere a disposizione l’identità digitale SPID. Questa richiede il riconoscimento certificato e l’accesso protetto attraverso l’app di un gestore abilitato. Chi ha già un conto con Poste Italiane o una carta PostePay, e per questo ha anche il suo numero di telefono confermato, potrà ottenere facilmente l’abilitazione all’identità digitale SPID attraverso un codice di verifica SMS.
Tutti gli altri potranno recarsi direttamente in un ufficio postale per l’identificazione (costo 12 euro). Oppure identificarsi con la Carta di Identità Elettronica o con iI Passaporto Elettronico direttamente da casa. Lo si può fare utilizzando l’appPostelD, la stessa che poi sarà necessaria per confermare la propria identità ogni volta che vorremo usare lo SPID per accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione. Il servizio è gratuito per chi ha il PIN collegato alla carta di identità o al passaporto. Gli altri invece dovranno pagare un contributo di 10 euro necessario per il riconoscimento attraverso la webcam. Infine c’è anche la possibilità di registrarsi eseguendo un bonifico di un euro dal proprio conto corrente e in questo modo utilizzare il riconoscimento effettuato dalla propria banca.
Secondo i piani del governo, grazie alI’ app IO dovrebbe essere possibile entrare in contatto con tutti gli enti pubblici della Pubblica Amministrazione. In realtà finora l’app IO si è rivelata preziosa per consultare il cashback sui pagamenti elettronici, ottenere il bonus biciclette e quello vacanze e per scaricare il certificato Green Pass. La disponibilità dei servizi locali per quanto concerne la Pubblica Amministrazione dipende in gran parte dai singoli comuni. Alcuni ad esempio consentono anche di iscriversi a servizi essenziali come i prescuola, i centri estivi, le scuole materne o gestire i tributi locali come rifiuti, IMU e ICI. Altri comuni, invece, non sono nemmeno presenti: per accertarsene occorre controllare direttamente il menu Servizi Locali.
In ogni caso per accedere all’app è necessario avere l’identità digitale SPID o una carta di Identità Elettronica con il PIN fornito dal comune al momento dell’emissione. Oltre agli enti locali ci sono quelli nazionali come ACI, Agenzia delle Entrate, lnail, INPS e lstat. Purtroppo però nella maggior parte dei casi si viene rimandati ad altre app dei singoli gestori. Interessante, invece, la possibilità di pagare direttamente gli avvisi di pagamento della Pubblica Amministrazione inquadrando semplicemente il QR Code presente sul bollettino e utilizzando la carta di credito per pagare.
Un’unica app permette di avere sempre sottocchio i punti che ci restano sulla patente e lo storico di quelli che abbiamo guadagnato e perso nel corso degli anni precedenti. Si tratta di iPatente, l’app ufficiale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Direttamente dall’app è possibile conoscere i dati relativi alla revisione e all’assicurazione non solo dei veicoli che possediamo, ma attraverso una ricerca basata sul numero di targa, anche di tutti quelli immatricolati in Italia.
Non solo, ma attraverso il database nazionale potremo conoscere la classe ambientale del veicolo e quindi sapere se può circolare nelle zone soggette a limiti. Inoltre possiamo controllare se può essere guidato dai neopatentati e naturalmente accertarci che sia assicurato. Si tratta di dati fondamentali per chi vuole acquistare un’automobile oppure anche solo venirne a conoscenza in caso di sinistro. È anche possibile verificare lo stato di avanzamento del processo di lavorazione delle nostre pratiche presso gli uffici della Motorizzazione Civile. Anche in questo caso per accedere all’app è indispensabile avere l’identità digitale SPID o in alternativa una Carta d’Identità Elettronica con codice PIN. La precedente possibilità di accedere con nome utente e password non è più valida.
Non fa piacere a nessuno mettersi in contatto con Equitalia, il gestore delle tasse per tutti i cittadini italiani. E, tuttavia, piuttosto che perdere una giornata di lavoro per ottenere informazioni di persona, è sicuramente più comodo utilizzare un’app come Equiclick. Anche in questo caso per accedere all’area riservata occorre avere un account SPID o in alternativa la Carta di Identità Elettronica con il PIN fornito dal comune. O in alternativa le vecchie credenziali necessarie per accedere al sito di Equitalia. Nell’area riservata è possibile conoscere in ogni momento la nostra situazione debitoria aggiornata, con le cartelle da pagare, quelle che possono essere rateizzate e anche quelle già saldate.
Particolarmente utile la possibilità di consultare la lista dei pagamenti rateizzabili, ottenere la rateizzazione del debito (è possibile rateizzare un debito fino a un massimo di 60.000 euro) e cominciare subito a pagare dall’app. Inoltre è possibile chiedere di sospendere la riscossione, se possiamo dimostrare di non dover pagare gli importi richiesti dall’ente creditore. Particolarmente interessante è anche la possibilità di attivare il servizio Se Mi Scordo, in modo da essere avvisati attraverso SMS o email quando è necessario saldare i pagamenti.
In Italia sono le regioni a gestire la sanità pubblica e per questo non esiste una sola app, ma tanti fascicoli sanitari regionali. Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) è lo strumento attraverso il quale il cittadino può tracciare e consultare tutta la storia della propria vita sanitaria, condividendola con i professionisti sanitari per garantire un servizio più efficace ed efficiente.
Tra i servizi disponibili ci sono le ricette prescritte dal medico di base che possono essere scansionate direttamente dalla farmacia. Inoltre è possibile consultare i referti specialistici e di laboratorio e salvarli direttamente sullo smartphone. Sono presenti referti risalenti al 2009, cioè 13 anni fa. E’ possibile comunque filtrarli per categoria e visualizzare, per esempio, solo quelli delle analisi di laboratorio.
Inoltre dall’app è possibile visualizzare i dati sul medico di base, consultare e gestire gli appuntamenti e gestire le informazioni per eventuali figli minorenni. Infine, sempre dall’app, è possibile consultare le informazioni riferite alle varie vaccinazioni e scaricare la versione più recente del Green Pass.
Da pochi mesi è finalmente disponibile per tutti l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente. In questo caso non si tratta di un’app, ma di un servizio Web che permette di scaricare gratuitamente i certificati dal sito anpr.interno.it o di riceverli tramite email. E possibile scaricare o ricevere in pochi secondi tutti i certificati anagrafici, da quello di nascita al certificato di matrimonio o di residenza, compresi quelli per altri componenti della propria famiglia anagrafica.
I certificati vengono scaricati in formato PDF e possono essere stampati e utilizzati quando necessario. A partire dal primo febbraio, alcuni Comuni inizieranno inoltre a offrire il servizio per il cambio di residenza o di domicilio all’interno dello stesso comune, occorre solo controllare dal sito se il nostro comune è tra questi. Per accedere al servizio dell’ Anagrafe Nazionale è possibile utilizzare l’identificazione digitale SPID oppure la Carta d’Identità Elettronica, ma solo se si ha il PIN fornito dal Comune. Una volta selezionato il certificato che ci interessa, per noi o per un altro componente della nostra famiglia, potremo scegliere se scaricarlo in carta libera o in bollo. Fino al 31 dicembre di quest’anno non sarà necessario pagare nessuna imposta anche nel caso di richiesta di certificato in bollo. Quest’ultimo è forse il passo più importante che ha fatto la Pubblica Amministrazione verso la digitalizzazione.
I visori 3D, i joypad e le manopole sono solo alcuni degli strumenti utili per entrare nel Metaverso. Ma volendo è possibile accedervi anche solo con un PC Windows
Possiamo considerare il Metaverso come un evoluzione di Internet.Non ci limiteremo come facciamo oggi, a interagire online con schermo e tastiera, ma potremo entrare con tutti e cinque i nostri sensi in una piattaforma virtuale. Per sfruttare al massimo le potenzialità di questo nuovo ambiente è utile, anche se non indispensabile, avere un visore 3D. In questo momento in commercio i modelli migliori sono l‘Oculus Quest 2 oppure il Lynx R-1, o ancora l’HTC Vive.
Si tratta in tutti i casi di visori nati per giocare, ma che permettono comunque di iniziare a muoversi nelle prime piattaforme disponibili. La stessa Facebook ha acquisito nel 2014 Oculus, il principale produttore di visori consumer, e dovrebbe presentare entro il 2023 un modello più evoluto e professionale. D’altronde sono ormai otto anni che Zuckerberg investe moltissimo su questo progetto. Al punto da cambiare il nome della sua azienda da Facebook in Meta e di assumere oltre 10.000 persone per il suo Metaverso.
In realtà attualmente non esiste un’unica app o un solo sito che permetta di accedere a tutto il Metaverso. Probabilmente in futuro questo sarà possibile. Esattamente come accade oggi con i vari siti Internet che sono tutti connessi tra loro. Tuttavia, fino ad allora continueranno a esistere differenti piattaforme in grado di offrire altrettante esperienze da esplorare e gestire attraverso il nostro avatar, cioè la nostra rappresentazione virtuale.
La piattaforma di Facebook, per esempio, si chiama VR Horizon Worlds (https:// www.oculus.com). Dal dicembre scorso è aperta in versione beta a tutti gli utenti Facebook che si trovano negli Stati Uniti e in Canada. Nel corso del 2022 dovrebbe essere possibile collegarsi anche dall’Europa, a condizione però di avere un visore Oculus Quest 2. Secondo la stessa Facebook, però, in un prossimo futuro questo non sarà più indispensabile. Consentendo così di allargare enormemente l’utenza, visto che a oggi meno del 4% delle persone possiede un visore 3D.
Tanto divertimento
In questo momento gli americani e i canadesi che stanno provando VR Horizon Worlds si stanno divertendo soprattutto con giochi d’azione come Action lsland Teams. Situazioni paradossali come Ice Cream Frenzy in cui devono combattere con gli altri giocatori per catturare palline di gelato. Ci sono poi anche situazioni magiche alla Harry Potter come Wand&Broom (bacchetta magica e manici di scopa) che consentono di volare per l’appunto a cavallo di una scopa sul territorio sottostante. Oppure giri in barca sulle cascate in Mark’s Riverboat.
In attesa che VR Horizon Worlds diventi disponibile anche per noi italiani, possiamo iscriverci al gruppo Facebook di Horizon Worlds. Qui infatti è possibile rimanere aggiornati sulle ultime notizie e sulle esperienze di chi vi è già entrato.
VRChat
E poi c’è chi la realtà virtuale la frequenta già da una decina d’anni. Anche se solo ultimamente i progressi tecnologici hanno reso possibile un’esperienza pienamente immersiva. Ci riferiamo a VRChat, (qui il sito), una piattaforma virtuale creata nel 2014 per il visore Oculus Rift e successivamente per Oculus Quest e ora anche per Oculus Quest 2, a cui possiamo accedere anche noi italiani attraverso la piattaforma Steam. La struttura è abbastanza simile a quella di Second Life, con tanti mondi virtuali in cui gli utenti interagiscono attraverso i loro avatar personalizzati.
Il motore grafico Unity di ultima generazione ha permesso di realizzare un sistema evoluto di movimento degli avatar che risultano assolutamente naturali, con tanto di sincronizzazione del movimento delle labbra e degli occhi mentre si parla. Da qualche tempo poi VRChat può essere utilizzata in “modalità desktop”, cioè senza bisogno di utilizzare il visore 3D ma solo con il gamepad o la tastiera. Una volta scaricato il software disponibile per Windows sulla piattaforma Steam potremo divertirci insieme agli amici con giochi di ruolo come Dungeon & Dragons, oppure partecipando in prima persona a concerti come quello tenuto da JeanMichael Jarre o anche assistendo a festival come quello del Cinema di Venezia.
I mestieri del Metaverso
Nei prossimi cinque anni, le principali aziende tecnologiche di tutto il mondo investiranno fino a 1.000 miliardi di dollari nello sviluppo di nuovi mondi digitali immersivi, in cui ci troveremo a lavorare, fare acquisti, condividere esperienze, gestire attività. Ma prima di poterci vivere, questi nuovi mondi andranno creati e a questo scopo saranno necessarie diverse figure professionali specializzate.
I creativi per eccellenza, quelli che si possono definire gli architetti del Metaverso, sono in pratica gli attuali 3D Game Designer. Dovranno occuparsi della progettazione e creazione dei vari ambienti virtuali e avere solide competenze di animazione e modellazione 3D. Inoltre dovranno saper padroneggiare software come Unity 3D, Blender, Maya e Unreal Engine.
Dopo gli architetti, le figure professionali più richieste saranno i Costruttori, cioè programmatori, sviluppatori, ingegneri del software ed esperti di blockchain. Dovranno avere solide competenze in programmazione con i linguaggi C, C#, C++, JavaScript, Python, Solidity e Rust.
Ci sono poi tutte le figure di contorno, ma altrettanto indispensabili come i Product e Fashion Designer che dovranno realizzare gli oggetti del Metaverso, gli esperti di cybersecurity per gestire gli enormi problemi legati alla sicurezza come avatar hackerati, furti di NFT, fughe di dati biometrici. Inoltre serviranno specialisti in Privacy & Data Protection, esperti di marketing, organizzatori di eventi e anche storyteller per spiegare alle persone cosa sia e come funzioni il Metaverso. Si parla di alcuni milioni di opportunità lavorative che non ci possono trovare impreparati e per alcune delle quali i tempi iniziano già a essere stretti.
Trovare l’amore nel Metaverso
È da poco disponibile nell’App Store l’app Nevermet, che può essere considerata a buon diritto come la corrispondente di Tinder per il Metaverso. La struttura è molto simile a quella della più famosa app di dating, con la differenza che al posto delle nostre foto ci saranno le immagini dei nostri avatar, con tanto di caratteristiche personali. Se l’abbinamento funziona ci si potrà incontrare su VRChat e da lì creare una vera relazione virtuale che con il tempo potrebbe diventare fisica.
Vediamo come aprire gli allegati della nostra posta elettronica, utilizzata sempre più spesso per inviare file pericolosi sotto le “mentite spoglie” di file testuali, foto e altri documenti di lavoro, senza correre rischi.
Sappiamo che per limitare una qualsiasi infezione virale, che sia biologica o informatica, uno dei metodi migliori è la quarantena, cioè ridurre al minimo qualsiasi fonte di contagio. E, in quest’ultimo caso, la quarantena si chiama, anzi si chiamerà, Dangerzone. Quarantena, per la precisione, per i file allegati alle email che, come sappiamo, sono il metodo preferito dagli hacker e dai malintenzionati in generale per diffondere malware e virus di qualsiasi tipo.
Nonostante gli esperti di cybersecurity dispendano consigli e raccomandazioni, purtroppo milioni di utenti ancora oggi scaricano allegati contenenti malware con troppa leggerezza anche da email che sono chiaramente pericolose. Ecco, allora, il senso di Dangerzone: permettere agli utenti di aprire e scaricare gli allegati delle email senza correre rischi. Potrebbe accadere, infatti, che a volte siamo costretti a scaricare un allegato nonostante siamo coscienti dei rischi che si nascondono dietro mittenti apparentemente legittimi. Ed è proprio a questo punto che entra in gioco Dangerzone, che consente di scaricare e aprire i file dell’allegato senza correre rischio di contagio. Ma come è possibile?
Dangerzone: cosa è
Dangerzone è un progetto al momento in versione alfa, quindi ancora ben lontano dall’essere pronto per il mercato. Ma l’idea è buona, perché è semplice: mettere in quarantena gli allegati potenzialmente pericolosi. Il creatore di Dangerzone è Micah Lee, uomo a capo della sicurezza informatica di First Look Media. Che è una media company americana senza scopo di lucro, che pubblica il giornale online The Intercept.
The Intercept è una testata giornalistica specializzata in inchieste politiche, di guerra, sulla corruzione, l’ambiente e molti altri temi caldissimi. E, per questo, si è dotata di un efficiente reparto di sicurezza informatica per difendere gli scambi telematici tra i suoi giornalisti e la redazione. A capo del team di sicurezza che sorveglia su tutto ciò c’è proprio Micah Lee, che ha avuto l’idea di creare Dangerzone.
Quando un utente protetto da Dangerzone apre un allegato di un determinato tipo (una foto, un file del pacchetto Microsoft Office o LibreOffice o un PDF), tale file viene trasferito ad una “sandbox”. Cioè ad una scatola virtuale, isolata dal resto del sistema operativo. Se l’allegato contiene un virus, quindi, il codice malevolo non può uscire dalla sandbox e quindi non può accedere ad altre parti del sistema operativo. Una sorta di acquario: noi possiamo guardare i pesci all’interno, ma i pesci non possono uscire all’esterno.
Testing out “dangerzone” by @micahflee, a new tool for Mac, Windows, and Linux that converts sketchy documents into safe-to-open PDF files.
Dopo aver aperto il file sospetto nella sandbox, Dangerzone utilizza il software open source LibreOffice per convertirlo in formato PDF (a meno che l’allegato non sia già un PDF). Subito dopo utilizza il software open source Poppler e ImageMagick per trasformare ulteriormente quel PDF in una serie di pixel rossi, verdi e blu. Da quei pixel grezzi, successivamente, ricostruisce il documento originale in una seconda sandbox, ricreando un PDF disinfettato senza codice nascosto, animazioni o link potenzialmente pericolosi.
Nel caso di file testuali, Dangerzone utilizza il software di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) Tesseract per convertire lettere e numeri che nel PDF troviamo sotto forma di pixel in un testo leggibile automaticamente, cosa che ci consente dopo di copiare il testo o cercare qualcosa all’interno del file.
Se usiamo Dangerzone, in realtà, non stiamo scaricando il vero allegato che ci è stato inviato ma una sua copia “decostruita” e “ricostruita“. Ma tra lo smembramento del file e la sua ricostruzione, Dangerzone procede ad eliminare tutto quello che c’è di “estraneo” e potenzialmente pericoloso nel file.
Per diffondere virus tramite file PDF o fogli di calcolo, ad esempio, gli hacker spesso inseriscono del codice eseguibile o delle finte macro al loro interno: quando il file viene aperto questi codici entrano in funzione e inizia l’infezione. Ma Dangerzone confina l’infezione dentro la sandbox, neutralizzandola, e copia solo il contenuto reale del file ripulito dal codice aggiunto. Questo è molto vantaggioso perché, certe volte, i virus si intrufolano di nascosto in file legittimi che noi stessi possiamo aver creato sul nostro disco rigido per poi condividerli.
Naturalmente tutto questo procedimento ha dei limiti da non sottovalutare. Innanzitutto, ci vuole tempo, almeno per i documenti più grandi e complessi. Poi si perdono dei dati: le Gif animate, ad esempio, diventano statiche mentre una presentazione in Power Point con un video dentro non potrà che perdere il video. Dangerzone, infine, è ancora in fase di test (la versione alfa è stata appena pubblicata su GitHub) e non è assolutamente pronto per l’uso quotidiano. Ma questo vuol dire anche che, quando lo sarà, forse almeno alcuni dei suoi limiti spariranno.
Ecco tutti i modi per scaricare video online dai più noti siti di streaming e conservarli sul proprio PC e per poterli rivedere anche senza connessione.
Internet è letteralmente piena zeppa di video: quella che è considerata la più celebre piattaforma di condivisione video, YouTube, è visitata mensilmente da più di due miliardi e mezzo di utenti attivi, e ogni singolo minuto vengono caricate circa 500 ore di nuovi video, che significa 720.000 ore al giorno. Questi video sono molto popolari, soprattutto in ,certe fasce di età, tanto da ottenere anche più successo rispetto ai “vecchi” programmi trasmessi in TV. Ma, come con questi ultimi, potrebbe venirci voglia di ”registrare” i video nel nostro PC così da rivederli quando vogliamo, anche senza una connessione Internet a disposizione.
Per far ciò, però, dobbiamo considerare due aspetti: il primo è quello legale, ovvero capire se si incorre in qualche illecito effettuando i download di video da piattaforme di condivisione. Ovviamente non stiamo parlando dei servizi di streaming come Netflix, Prime Video o Disney+, che includono materiale rigorosamente coperto da copyright: in questo caso tutte le app prevedono la possibilità di download dei video, ma solo all’interno delle app stesse in modo che non siano visualizzabili al di fuori di questa, perché protetti da DRM, la protezione digitale dei contenuti. Per tutti gli altri casi, se non indicato diversamente, il download è permesso solo per ”uso personale” e non può essere ceduto o condiviso online.
Gli add-on per browser
Per scaricare senza ,difficoltà i video dai vari siti di condivisione, una delle soluzioni migliori consiste nell’affidarsi a un add-on per il browser Web. Se decidiamo di usare questi add-on, una volta installati non dobbiamo far altro che visitare la pagina con il video che ci interessa, avviarne la riproduzione in modo che il plug-in lo riconosca e ne attivi il download e quindi selezionare, nel menu dell’add-on, il tipo di download. Questo perché, nella maggior parte dei casi, i servizi di streaming offrono lo stesso video con risoluzioni diverse, per adattarsi alla velocità di connessione degli utenti.
Video DownloadHelper
Quindi per ogni video vedremo molto probabilmente diverse opzioni verse opzioni di download, ciascuna con risoluzioni, bitrate e, in alcuni casi, anche codec diversi. Esistono molti add-on per questo scopo, vediamone però uno in particolare, Video DownloadHelper. Esso è uno dei più versatili, perché da un lato è disponibile per tutti i browser più diffusi (Chrome, Firefox ed Edge), e dall’altro supporta ben cinquanta servizi di streaming online. Per installarlo, il metodo più semplice è quello di recarsi nel sito Web dell’add-on e di seguire le indicazioni per il proprio browser.
Una volta installato, vedremo comparire la sua icona, che rappresenta tre sfere colorate, nella barra degli strumenti del browser. Se non fosse direttamente visibile, proviamo a cliccare l’icona degli add-on, solitamente a forma di una tessera di un puzzle. In ogni caso, potremo accedere alle opzioni di ,download del video di Video DownloadHelper cliccando su questa icona durante la riproduzione del video che intendiamo scaricare.
Download senza add-on
Se invece non vogliamo ”sporcare” il nostro browser con add-on, abbiamo a disposizione un’altra opzione, per scaricare i nostri video: utilizzare un servizio online. Nel Web, infatti, possiamo trovare molti siti che offrono questa funzione, senza obbligarci a installare nulla nel nostro PC. Uno di questi siti è https://savefrom.net, che consente di scaricare un filmato semplicemente copiando e incollando l’indirizzo della pagina contenente il video.
Savefrom.net, nella versione gratuita, limita il download a una risoluzione media (fino a 720p), mentre per quelle più alte richiede un abbonamento.
E’ però possibile scaricare i filmati in piena risoluzione ma senza audio, che poi possiamo facilmente abbinare all’audio del file in risoluzione standard con un con un software di editing video, per esempio MKVToolNix. Ricordiamo inoltre che legalmente, i video online possono essere scaricati ma non condivisi con altri.
Grazie all’aggiunta di 5G, chip M1 e USB C più veloce, il nuovo tablet IPad Air 2022 intermedio targato Apple offre il miglior rapporto fra prezzo e caratteristiche tecniche: è il modello da comprare.
Il nuovo iPad Air 2022 di quinta generazione, presentato da Apple durante l’evento Peek Perfomance e disponibile in Italia da venerdì 18 marzo. E’ l’aggiornamento perfetto di un prodotto che possiamo considerare già ottimo. L’azienda di Cupertino aveva rivoluzionato la linea Air a ottobre 2020, con l’introduzione del primo modello dal design analogo a quello degli iPad Pro.
L’intenzione era chiara: portare sul suo tablet intermedio alcune caratteristiche chiave dei modelli di fascia più alta, mantenendo però un prezzo più abbordabile.
Oggi la filosofia è la stessa, ma viene da pensare che a Cupertino i progettisti si siano lasciati quasi prendere la mano. Sull’iPad Air 2022 arrivano il chip M1, lo stesso degli iPad Pro e dei Mac, il 5G sulla versione Cellular, la fotocamera frontale che abilita Center Stage e l’USB C ultraveloce da 10 Gpbs.
Tutte caratteristiche avanzate che riducono molto il gap tecnologico con i modelli Pro, in particolare quello da 11”. È una strategia che abbiamo visto altre volte, per esempio con l’iPad Mini e il precedente iPad Air. Apple non si fa problemi a scaglionare i cicli di aggiornamento, con il risultato che modelli di fascia più bassa possono risultare più convenienti e allettanti per qualche mese, fino all’arrivo di nuovi modelli aggiornati.
Il design del nuovo iPad Air 2022 non cambia: le linee squadrate sono le stesse del modello di precedente generazione. Il tablet rimane leggero e maneggevole, grazie a un ottimo rapporto tra le dimensioni e il peso (461 grammi). Anche lo schermo è lo stesso. Un Liquid Retina da 10.9” (contro gli 11” esatti del modello Pro di base) con tecnologia True Tone, gamma colore P3, e rivestimento antiriflesso. Non è il componente più al passo coi tempi, ma la qualità è ancora molto alta. È luminoso, anche in piena luce, e l’unica vera pecca è la frequenza di refresh a 60 Hz. La differenza la si nota davvero solo se si ha l’abitudine ai 120 Hz variabili dei display ProMotion degli iPhone 13 Pro o degli iPad Pro M1.
Una delle novità più importanti è invece l’introduzione del 5G nella configurazione Wi-Fi + Cellular. Caratteristica che porta finalmente l’iPad Air alla pari con tutta la famiglia dei tablet Apple, escluso il modello base con design smussato. Abbiamo provato la connessione 5G del nuovo Air con una SIM tedesca a Berlino. Quando la rete offre una buona copertura, le velocità sono superiori all’Adsl di casa, ma non superano mai i 280 Gpbs di picco in download.Potrebbe andare meglio, ma la colpa è di Telekom Deutschland e dello stato pietoso in cui versano le reti mobili tedesche, non dell’iPad Air. Da segnalare che nell’uso prolungato l’effetto del 5G sull’autonomia della batteria si fa sentire, proprio come sui modelli Pro.
Le restanti caratteristiche di connettività rimangono invariate (a parte l’USB C, di cui diremo più avanti) e offrono tutto quel che serve su un dispositivo del 2022. Wi-Fi 6, Bluetooth 5.0, dual-band simultanea per connettersi al Web e alla Apple TV allo stesso tempo, eSim per attivare il piano dati direttamente dalle opzioni di iOS. Confermato anche il Touch ID sul tasto home, tecnologia che aveva debuttato proprio sul modello 2020 dell’iPad Air per poi arrivare anche su iPad Mini.
Funziona benissimo, con molti meno errori del riconoscimento facciale, e lo sblocco è istantaneo. Continuiamo ad apprezzare molto questa soluzione. Anche se la speranza che arrivi pure su iPhone è stata in parte mitigata dall’aggiornamento 15.4 di iOS, che abilita l’utilizzo del Face ID anche quando si indossa la mascherina.
Seppure non dotata di sensore di profondità per il riconoscimento del volto, la fotocamera frontale dell’iPad Air fa comunque un salto in avanti rispetto al modello precedente. Ha una risoluzione di 12 MP e monta un obiettivo grandangolare che abilita Center Stage, la funzione che mantiene i soggetti al centro dell’inquadratura durante le videochiamate.
Anche in questo caso Apple ha messo in pari il nuovo iPad Air con tutti gli altri modelli della gamma, inclusa la versione entry level. Center Stage, che qui apprezziamo molto (ma che secondo alcuni “fa un po’ venire il mal di mare” se ci si muove troppo) è ormai funzionalità ubiqua e trasversale. E’ arrivata pure sul nuovo Apple Studio Display presentato sempre all’evento dell’8 marzo.
La differenza più importante fra l’iPad Air 2022 e la precedente generazione del dispositivo la fa il processore. Apple ha sorpreso un po’ tutti portando anche su questa fascia di tablet il suo chip M1, lo stesso degli iPad Pro e dei Mac. Non è neppure la versione base che si trova sul MacBook Air meno costoso, bensì quella con CPU e GPU da 8 core ciascuna e Neural Engine con 16 core dedicati alle operazioni di machine learning.
I numeri ufficiali di Apple parlano di un 60% in più di potenza di calcolo e grafica del doppio più veloce. I benchmark che abbiamo realizzato con Geekbench mostrano una parità assoluta di prestazioni con gli iPad Pro. Non potrebbe essere altrimenti, visto che la configurazione del chip è esattamente la stessa.
La differenza rispetto all’iPad Air con A14 Bionic non si nota nella fluidità dell’interfaccia, già ottima sul modello precedente, bensì nelle applicazioni che sfruttano al meglio i core multipli e le GPU. È un deja-vu del passaggio dagli iPad Pro con A14 ai primi con chip M1. La ripetibilità prestazionale che i nuovi chip Apple hanno garantito agli ingegneri di Cupertino è impressionante. A differenza dei concorrenti, Apple può garantire una ripetibilità assoluta dei passaggi generazionali tra un dispositivo e il successivo, al punto da poter traslare l’intera esperienza di aggiornamento hardware da una linea di prodotti a un’altra, senza soluzione di continuità. Un vantaggio competitivo straordinario, che nessuno nel settore è in grado di eguagliare nel breve termine.
Al netto di considerazioni teoriche e sui benchmark, la differenza si vede nel concreto quando si utilizzano app come Lightroom, Photoshop, LumaFusion (e pure iMovie). Oppure giochi dalla grafica tridimensionale avanzata (come Genshin Impact, che Apple promuove soprattutto per la popolarità sul mercato cinese). Su Lightroom i filtri e le funzioni smart basati sull’intelligenza artificiale ora sono velocissimi. Abbiamo messo a confronto il pennello per la selezione rapida del soggetto su iPad Air di quinta generazione e sul modello del 2022. La differenza è nell’ambito di un paio di secondi, a seconda della risoluzione dell’immagine.
Lo stesso vale per Luma Fusion, dove l’esportazione e il rendering dei filmati in 4K è visibilmente più veloce, e anche per iMovie, l’app di editing video di Apple. Abbiamo fatto qualche confronto esportando lo stesso filmato in 4K. Anche in questo caso si guadagnano secondi preziosi, con prestazioni migliori quanto più è lungo il rendering.
Su Photoshop per iPad la nostra prova del nove è il cosiddetto Spot healing Brush, il timbro clone che rimuove le imperfezioni e corregge l’immagine sulla base del contenuto circostante. Passando con la Apple Pencil sull’immagine, la correzione è pressoché immediata. Mentre sul modello del 2020 con A14 Bionic è sempre possibile notare un leggero ritardo.
Per i fotografi c’è infine un dettaglio fondamentale, che abbiamo volutamente lasciato per ultimo: la porta USB C dell’iPad Air non si ferma più a 5 Gbps, ma arriva a 10.
Anche qui la differenza è sostanziale, soprattutto se si lavora con un disco SSD esterno ultra-veloce per salvare e caricare un gran numero di foto. Non solo: grazie a questa opzione di connettività l’iPad Air si può collegare a schermi ad altissima risoluzione (fino a 6K), caratteristica utile per elaborare le immagini in studio.
L’aggiunta del chip M1 su iPad Air ha scombinato l’ordine naturale della gamma iPad, con una sostanziale parità prestazionale fra questo modello e gli iPad Pro del 2021. La differenza con il modello Pro da 12,9” è rappresentata soprattutto dal display: ha dimensioni maggiori ed è un Liquid Retina XDR con tecnologia mini-LED.
Le caratteristiche che differenziano l’iPad Air dall’iPad Pro da 11”, cioè quello che ne condivide le dimensioni, sono invece queste:
Display: su iPad Pro 11” è un Liquid Retina con Pro Motion, cioè ha refresh variabile da 24Hz a 120Hz; la luminosità massima è 600 Nits, contro i 500 dell’iPad Air
Face ID al posto di Touch ID
Speaker: su iPad Air sono due, l’iPad Pro ne ha quattro; la differenza si sente soprattutto quando si guardano film e serie (in particolare su Apple TV+)
Spazio di archiviazione: iPad Air è disponibile solo nei tagli da 64 e 256 GB, mentre iPad Pro 11” parte da 128 e si può configurare con 256, 512 e ancora 1 o 2 TB; il prezzo sale vertiginosamente di conseguenza.
Porta USB C compatibile Thunderbolt 4
Doppia fotocamera con grandangolo e ultra grandangolo da 12 e 10 MP.
Sensore Lidar
La domanda è dunque quante e quali di queste caratteristiche sono necessarie per garantire un miglioramento sensibile dell’esperienza d’uso. A nostro parere ben poche, anche nel caso di un utente professionale.
Il display, soprattutto per fotografi ed editor video, non offre un salto qualitativo così evidente (come nel caso del modello mini-LED da 12,9”); Touch ID non è né più lento né meno sicuro di Face ID (si potrebbe dire casomai il contrario); chi ha bisogno di più spazio può comprare un hard disk esterno a una frazione del prezzo; le doppie fotocamere non sono importanti come su uno smartphone e il sensore Lidar è utile per un numero ancora abbastanza ristretto di applicazioni pratiche.
Va poi considerato il prezzo: la versione base dell’iPad da 64 GB Wi-Fi costa 200 euro in meno dell’iPad Pro da 11” Wi-Fi da 128 GB. Entrambe le versioni da 256 GB dell’iPad Air, sia quella Wi-Fi sia quella Wi-Fi + Cellular fanno risparmiare invece 30 euro sulla corrispondente versione base da 128 GB del modello Pro.
Considerato che l’iPad Air offre anche un più ampio ventaglio di opzioni cromatiche (Space Gray, Starlight, Pink, Purple e Blue), l’iPad Air è dunque il tablet Apple da 10.9” da comprare in questo momento e almeno fino al prossimo aggiornamento degli iPad Pro, anche per chi voglia usarlo per applicazioni professionali.
Si può già preordinare e arriverà negli Apple Store e nei negozi di elettronica venerdì 18 marzo. È compatibile con la Apple Pencil di seconda generazione (che costa 135 euro), con le cover con tastiera Magic Keyboard (339 euro) o Smart Keyboard Folio (199 euro), e con la Cover Smart Folio per iPad Air (89 euro), disponibile in nero, bianco, English Lavender, Electric Orange, Dark Cherry e Blue Marino.
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