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Hardware

X1 Nano, il Thinkpad superleggero

Con i suoi 900 grammi l’X1 Nano è il Thinkpad più leggero di sempre, inoltre ha un ottimo display e prestazioni elevate. Il telaio utilizza materiali pregiati ed è un campione di maneggevolezza.

Il Thinkpad X1 Nano è un ultraportatile ancora più “estremo” rispetto al pur compatto X1 Carbon. Ha un display da 13 pollici ma un peso inferiore al chilogrammo, non rinuncia a nulla e anzi offre tanto, come il modem 4G o 5G integrato (su alcune configurazioni). È spesso appena 1,3 cm ma è estremamente robusto: il telaio è costruito in un mix di magnesio e fibra di carbonio e non ci sono flessioni pericolose. Anche premendo con decisione su un angolo del display, molto sottile anch’esso, non succede nulla.

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Tastiera migliorabile

La tastiera ha dimensioni molto ridotte e questo è inevitabile; la corsa è molto corta e il feeling è abbastanza lontano da quello di altri Thinkpad, compreso l’X1 Carbon. Alcuni tasti hanno dimensioni molto più piccole rispetto agli altri, per esempio tutta la fila dei tasti funzione. Il touchpad è ampio e preciso, al centro della tastiera troviamo il classico Trackpoint, segno distintivo di tutti i Thinkpad. La tastiera dell’ X1 Nano è retroilluminata ed è resistente ai liquidi.

Solo due porte Usb

Il monitor Ips ha un rapporto d’aspetto di 16:10, più squadrato rispetto al classico 16:9 e la cosa ha molto senso in un notebook per l’utilizzo lavorativo. Il pannello è di ottima qualità, molto luminoso (450 nits) nitido e ben contrastato, con colori vivi ma realistici. Come opzione è disponibile il touchscreen, ma su un notebook tradizionale ci sembra inutile. L’espandibilità dell’ X1 Nano è minima, troviamo due porte Usb Type-C nel nuovo standard 4 che veicolano anche il segnale Thunderbolt 4 e l’uscita video DisplayPort.

X1 Nano
L’X1 Nano è semplice da aprire e smontare, altro segno di un’attenta progettazione. Wi-Fi
e Ssd sono sostituibili.

Non c’è altro nell’X1 Nano, a parte il jack audio da 3,5 mm; comunque sono le stesse porte che offre il MacBook Air. La parte inferiore del telaio è rimovibile, la Ram è saldata ma si può sostituire il disco Ssd o la batteria in caso di guasto.

Buone prestazioni

La nostra configurazione è di fascia intermedia e prevede un Core i7 di undicesima generazione e un Ssd da 1 terabyte. Il quantitativo di memoria Ram è fissato in 16 GB per tutti i modelli. Il Core i7-1160G7 è un processore con quattro core/otto thread con frequenza massima di 4,4 GHz su singolo core e Tdp configurabile tra 7 e 15 watt. Integra una Gpu Iris Xe con 96 unità di esecuzione, adeguata per un ultraportatile del genere.

La prova sul campo

Questo X1 Nano, nonostante le piccole dimensioni e un processore potente all’interno, è silenzioso e produce poco calore persino con un carico di lavoro importante. Durante i benchmark il Core i7 ha funzionato alle frequenze previste, 4 GHz e oltre con un singolo core impegnato, tra i 2,5 e 3,5 GHz con tutti i core. Diverso il discorso con i giochi 3D, in questo caso si avverte un certo riscaldamento e la ventola aumenta il numero dei giri, ma non in maniera fastidiosa e in ogni caso i giochi non sono certo il settore ideale per un notebook del genere.

x1 nano superleggero
Nano nel nome ma non nelle caratteristiche.

Quello che più si nota è l’ottima velocità del sistema in ogni situazione, a partire da un avvio fulmineo fino al multitasking spinto senza rallentamenti. L’X1 Nano tra l’altro è certificato Intel Evo. I 16 GB di Ram aiutano non poco; l’unità Ssd è di fascia economica e non sfrutta il bus Pci Express 4 del processore, ma nel complesso si comporta bene. Si sente a volte la necessità di una porta Usb full size, è una buona idea pensare a una piccola docking station che aumenti un po’ l’espandibilità. Sorprende il fatto che nel telaio si è trovato spazio per quattro speaker, due tweeter e due woofer, con supporto Dolby Atmos. La qualità è buona, anche se ad alti volumi si sente qualche distorsione. La webcam 720p invece è di qualità molto modesta, ha uno sportellino meccanico per salvaguardare la privacy.

Ottima infine l’autonomia della batteria, che raggiunge le 10 ore con utilizzo da ufficio e navigazione Web. C’è anche la ricarica rapida che in un’ora permette di arrivare all’80%. L’alimentatore è da 65 watt e anch’esso è compatto e leggero.

Superleggero

L’X1 Nano è un vero gioiello che costa come tale, d’altronde è uno dei notebook Windows più leggeri del mondo. Minuscolo e sempre maneggevole, perfetto per l’uso in aereo, ha un pregiato telaio molto resistente e un display da 13” di ottima qualità. Buona l’autonomia della batteria e c’è anche il modulo 4G/5G opzionale. Che dire, un gioiellino superleggero, nano nel nome ma non nelle caratteristiche.

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Apple iPad air 2022
Tech

iPad Air 2022, nuovo tablet di Apple

Grazie all’aggiunta di 5G, chip M1 e USB C più veloce, il nuovo tablet IPad Air 2022 intermedio targato Apple offre il miglior rapporto fra prezzo e caratteristiche tecniche: è il modello da comprare.

Il nuovo iPad Air 2022 di quinta generazione, presentato da Apple durante l’evento Peek Perfomance e disponibile in Italia da venerdì 18 marzo. E’ l’aggiornamento perfetto di un prodotto che possiamo considerare già ottimo. L’azienda di Cupertino aveva rivoluzionato la linea Air a ottobre 2020, con l’introduzione del primo modello dal design analogo a quello degli iPad Pro.

L’intenzione era chiara: portare sul suo tablet intermedio alcune caratteristiche chiave dei modelli di fascia più alta, mantenendo però un prezzo più abbordabile.

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5G, chip M1 e USB ultraveloce

Oggi la filosofia è la stessa, ma viene da pensare che a Cupertino i progettisti si siano lasciati quasi prendere la mano. Sull’iPad Air 2022 arrivano il chip M1, lo stesso degli iPad Pro e dei Mac, il 5G sulla versione Cellular, la fotocamera frontale che abilita Center Stage e l’USB C ultraveloce da 10 Gpbs.

nuovo tablet di Apple

Tutte caratteristiche avanzate che riducono molto il gap tecnologico con i modelli Pro, in particolare quello da 11”. È una strategia che abbiamo visto altre volte, per esempio con l’iPad Mini e il precedente iPad Air. Apple non si fa problemi a scaglionare i cicli di aggiornamento, con il risultato che modelli di fascia più bassa possono risultare più convenienti e allettanti per qualche mese, fino all’arrivo di nuovi modelli aggiornati.

iPad Air, ieri e oggi

Il design del nuovo iPad Air 2022 non cambia: le linee squadrate sono le stesse del modello di precedente generazione. Il tablet rimane leggero e maneggevole, grazie a un ottimo rapporto tra le dimensioni e il peso (461 grammi). Anche lo schermo è lo stesso. Un Liquid Retina da 10.9” (contro gli 11” esatti del modello Pro di base) con tecnologia True Tone, gamma colore P3, e rivestimento antiriflesso. Non è il componente più al passo coi tempi, ma la qualità è ancora molto alta. È luminoso, anche in piena luce, e l’unica vera pecca è la frequenza di refresh a 60 Hz. La differenza la si nota davvero solo se si ha l’abitudine ai 120 Hz variabili dei display ProMotion degli iPhone 13 Pro o degli iPad Pro M1.

5G

Una delle novità più importanti è invece l’introduzione del 5G nella configurazione Wi-Fi + Cellular. Caratteristica che porta finalmente l’iPad Air alla pari con tutta la famiglia dei tablet Apple, escluso il modello base con design smussato.  Abbiamo provato la connessione 5G del nuovo Air con una SIM tedesca a Berlino. Quando la rete offre una buona copertura, le velocità sono superiori all’Adsl di casa, ma non superano mai i 280 Gpbs di picco in download. Potrebbe andare meglio, ma la colpa è di Telekom Deutschland e dello stato pietoso in cui versano le reti mobili tedesche, non dell’iPad Air. Da segnalare che nell’uso prolungato l’effetto del 5G sull’autonomia della batteria si fa sentire, proprio come sui modelli Pro.

5G
Introduzione del 5G nella configurazione Wi-Fi + Cellular

Le restanti caratteristiche di connettività rimangono invariate (a parte l’USB C, di cui diremo più avanti) e offrono tutto quel che serve su un dispositivo del 2022. Wi-Fi 6, Bluetooth 5.0, dual-band simultanea per connettersi al Web e alla Apple TV allo stesso tempo, eSim per attivare il piano dati direttamente dalle opzioni di iOS. Confermato anche il Touch ID sul tasto home, tecnologia che aveva debuttato proprio sul modello 2020 dell’iPad Air per poi arrivare anche su iPad Mini.

Funziona benissimo, con molti meno errori del riconoscimento facciale, e lo sblocco è istantaneo. Continuiamo ad apprezzare molto questa soluzione. Anche se la speranza che arrivi pure su iPhone è stata in parte mitigata dall’aggiornamento 15.4 di iOS, che abilita l’utilizzo del Face ID anche quando si indossa la mascherina.

Fotocamera frontale

Seppure non dotata di sensore di profondità per il riconoscimento del volto, la fotocamera frontale dell’iPad Air fa comunque un salto in avanti rispetto al modello precedente. Ha una risoluzione di 12 MP e monta un obiettivo grandangolare che abilita Center Stage, la funzione che mantiene i soggetti al centro dell’inquadratura durante le videochiamate.

iPad Air 5
Telecamera frontale con risoluzione di 12MP

Anche in questo caso Apple ha messo in pari il nuovo iPad Air con tutti gli altri modelli della gamma, inclusa la versione entry level. Center Stage, che qui apprezziamo molto (ma che secondo alcuni “fa un po’ venire il mal di mare” se ci si muove troppo) è ormai funzionalità ubiqua e trasversale. E’ arrivata pure sul nuovo Apple Studio Display presentato sempre all’evento dell’8 marzo.

iPad Air 5: come va

La differenza più importante fra l’iPad Air 2022 e la precedente generazione del dispositivo la fa il processore. Apple ha sorpreso un po’ tutti portando anche su questa fascia di tablet il suo chip M1, lo stesso degli iPad Pro e dei Mac. Non è neppure la versione base che si trova sul MacBook Air meno costoso, bensì quella con CPU e GPU da 8 core ciascuna e Neural Engine con 16 core dedicati alle operazioni di machine learning.

I numeri ufficiali di Apple parlano di un 60% in più di potenza di calcolo e grafica del doppio più veloce. I benchmark che abbiamo realizzato con Geekbench mostrano una parità assoluta di prestazioni con gli iPad Pro. Non potrebbe essere altrimenti, visto che la configurazione del chip è esattamente la stessa.

La differenza rispetto all’iPad Air con A14 Bionic non si nota nella fluidità dell’interfaccia, già ottima sul modello precedente, bensì nelle applicazioni che sfruttano al meglio i core multipli e le GPU. È un deja-vu del passaggio dagli iPad Pro con A14 ai primi con chip M1. La ripetibilità prestazionale che i nuovi chip Apple hanno garantito agli ingegneri di Cupertino è impressionante. A differenza dei concorrenti, Apple può garantire una ripetibilità assoluta dei passaggi generazionali tra un dispositivo e il successivo, al punto da poter traslare l’intera esperienza di aggiornamento hardware da una linea di prodotti a un’altra, senza soluzione di continuità. Un vantaggio competitivo straordinario, che nessuno nel settore è in grado di eguagliare nel breve termine.

Grafica

Al netto di considerazioni teoriche e sui benchmark, la differenza si vede nel concreto quando si utilizzano app come Lightroom, Photoshop, LumaFusion (e pure iMovie). Oppure giochi dalla grafica tridimensionale avanzata (come Genshin Impact, che Apple promuove soprattutto per la popolarità sul mercato cinese). Su Lightroom i filtri e le funzioni smart basati sull’intelligenza artificiale ora sono velocissimi. Abbiamo messo a confronto il pennello per la selezione rapida del soggetto su iPad Air di quinta generazione e sul modello del 2022. La differenza è nell’ambito di un paio di secondi, a seconda della risoluzione dell’immagine.

iPad Air 5 design

Lo stesso vale per Luma Fusion, dove l’esportazione e il rendering dei filmati in 4K è visibilmente più veloce, e anche per iMovie, l’app di editing video di Apple. Abbiamo fatto qualche confronto esportando lo stesso filmato in 4K. Anche in questo caso si guadagnano secondi preziosi, con prestazioni migliori quanto più è lungo il rendering.

Su Photoshop per iPad la nostra prova del nove è il cosiddetto Spot healing Brush, il timbro clone che rimuove le imperfezioni e corregge l’immagine sulla base del contenuto circostante. Passando con la Apple Pencil sull’immagine, la correzione è pressoché immediata. Mentre sul modello del 2020 con A14 Bionic è sempre possibile notare un leggero ritardo.

USB 10 Gbps

Per i fotografi c’è infine un dettaglio fondamentale, che abbiamo volutamente lasciato per ultimo: la porta USB C dell’iPad Air non si ferma più a 5 Gbps, ma arriva a 10.

Anche qui la differenza è sostanziale, soprattutto se si lavora con un disco SSD esterno ultra-veloce per salvare e caricare un gran numero di foto. Non solo: grazie a questa opzione di connettività l’iPad Air si può collegare a schermi ad altissima risoluzione (fino a 6K), caratteristica utile per elaborare le immagini in studio.

iPad air 5 e iPad Pro: le differenze

L’aggiunta del chip M1 su iPad Air ha scombinato l’ordine naturale della gamma iPad, con una sostanziale parità prestazionale fra questo modello e gli iPad Pro del 2021. La differenza con il modello Pro da 12,9” è rappresentata soprattutto dal display: ha dimensioni maggiori ed è un Liquid Retina XDR con tecnologia mini-LED.

Le caratteristiche che differenziano l’iPad Air dall’iPad Pro da 11”, cioè quello che ne condivide le dimensioni, sono invece queste:

  • Display: su iPad Pro 11” è un Liquid Retina con Pro Motion, cioè ha refresh variabile da 24Hz a 120Hz; la luminosità massima è 600 Nits, contro i 500 dell’iPad Air
  • Face ID al posto di Touch ID
  • Speaker: su iPad Air sono due, l’iPad Pro ne ha quattro; la differenza si sente soprattutto quando si guardano film e serie (in particolare su Apple TV+)
  • Spazio di archiviazione: iPad Air è disponibile solo nei tagli da 64 e 256 GB, mentre iPad Pro 11” parte da 128 e si può configurare con 256, 512 e ancora 1 o 2 TB; il prezzo sale vertiginosamente di conseguenza.
  • Porta USB C compatibile Thunderbolt 4
  • Doppia fotocamera con grandangolo e ultra grandangolo da 12 e 10 MP. 
  • Sensore Lidar
iPad Air 2022
Differenza con il modello Pro da 12,9”

La domanda è dunque quante e quali di queste caratteristiche sono necessarie per garantire un miglioramento sensibile dell’esperienza d’uso. A nostro parere ben poche, anche nel caso di un utente professionale.

Display

Il display, soprattutto per fotografi ed editor video, non offre un salto qualitativo così evidente (come nel caso del modello mini-LED da 12,9”); Touch ID non è né più lento né meno sicuro di Face ID (si potrebbe dire casomai il contrario); chi ha bisogno di più spazio può comprare un hard disk esterno a una frazione del prezzo; le doppie fotocamere non sono importanti come su uno smartphone e il sensore Lidar è utile per un numero ancora abbastanza ristretto di applicazioni pratiche.

Prezzi, accessori e disponibilità

Va poi considerato il prezzo: la versione base dell’iPad da 64 GB Wi-Fi costa 200 euro in meno dell’iPad Pro da 11” Wi-Fi da 128 GB. Entrambe le versioni da 256 GB dell’iPad Air, sia quella Wi-Fi sia quella Wi-Fi + Cellular fanno risparmiare invece 30 euro sulla corrispondente versione base da 128 GB del modello Pro.

iPad Air 5 (a destra) e iPad Air 4 a confronto
iPad Air 5 (a destra) e iPad Air 4 a confronto 

Considerato che l’iPad Air offre anche un più ampio ventaglio di opzioni cromatiche (Space Gray, Starlight, Pink, Purple e Blue), l’iPad Air è dunque il tablet Apple da 10.9” da comprare in questo momento e almeno fino al prossimo aggiornamento degli iPad Pro, anche per chi voglia usarlo per applicazioni professionali.

Si può già preordinare e arriverà negli Apple Store e nei negozi di elettronica venerdì 18 marzo. È compatibile con la Apple Pencil di seconda generazione (che costa 135 euro), con le cover con tastiera Magic Keyboard (339 euro) o Smart Keyboard Folio (199 euro), e con la Cover Smart Folio per iPad Air (89 euro), disponibile in nero, bianco, English Lavender, Electric Orange, Dark Cherry e Blue Marino.

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Internet

Reti 5G per un mondo sempre connesso.

Riguardo alla rete 5G ci sono opinioni disparate: per alcuni è considerato come una sorta di messia digitale, per altri come la bestia di Satana.
Cercheremo in questo articolo di fare un po’ di chiarezza.

Tecnicamente il 5G è lo standard di quinta generazione per le connessioni internet e telefonia mobile che permette una connessione di gran lunga superiore a quelle attuali – si parla di 2 Gigabit al secondo che potrebbero diventare potenzialmente 20 contro i 100 Megabit dell’attuale 4G – con una velocità di risposta almeno cinque volte più rapida e una capacità dieci volte superiore, che permette quindi di mantenere connessi contemporaneamente un numero di dispositivi dieci volte più grande rispetto ad ora.

L’internet delle cose

Soprattutto quest’ultimo aspetto permetterà l’evoluzione del cosiddetto Internet of Things (IoT), ovvero una costante interconnessione non solo di computer e telefoni ma di qualunque tipo di oggetto che possa essere trasformato in “smart object”. Per fare degli esempi pratici, oltre a una completa domotizzazione di case e uffici – con televisori, condizionatori, elettrodomestici totalmente gestibili da un unico terminale come un tablet o il proprio telefonino anche a chilometri di distanza –potremmo avere confezioni che avvisano quando il prodotto sta per scadere, frigoriferi che avvisano quando un determinato alimento manca, Bimby connessi al frigorifero che possono consigliare le ricette possibili con quello che c’è in dispensa o in frigo, sveglie che cambiano dinamicamente orario di notifica a seconda del traffico nel tragitto o del ritardo dei mezzi che ci porterebbero a lavoro, macchinari da ginnastica connessi ai sensori di monitoraggio che possono configurarsi dinamicamente. Il che oltre che a vantaggi evidenti porta anche a problematiche non banali ma di complessa analisi che però in pochi sembrano voler affrontare. C’è poi l’annosa discussione sulla pericolosità dell’inquinamento elettromagnetico e sugli eventuali rischi per la salute. 

5G e rischi per la salute

In realtà il dibattito sugli effetti del 5G sulla salute è molto più complesso, così come ogni questione riguardante l’aspetto scientifico che purtroppo nell’era internet della tuttologia e dei semicolti vede sempre più illustri sconosciuti parlare di argomenti che non possono essere studiati tramite google e wikipedia.

I principali studi su effetti negativi per la salute dell’esposizione a onde elettromagnetiche ad alta frequenza sono stati condotti dal Programma Nazionale di Tossicologia degli Stati Uniti e dal nostro Istituto Ramazzini, che hanno constatato una maggior incidenza di disfunzioni cardiache e tumori rari nei soggetti esposti.

Ma l’Icnirp (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni non Ionizzanti), la commissione internazionale che detta le linee guida per la sicurezza alle esposizioni alle radiazioni, avrebbe pubblicato una nota e concluso che essi non forniscono una base affidabile per la revisione delle linee guida esistenti sull’esposizione alla radiofrequenza a causa di incongruenze e limitazioni che influenzano la validità dei loro risultati.

A chi dare ragione? Ovviamente i media mainstream reputano l’Icnirp più affidabile e più autorevole, ma abbiamo già visto sulla nostra pelle quanto a volte sia troppo facile e soprattutto pericoloso affidarsi tout court alle opinioni dei cosiddetti “esperti”. La sensazione è che ciascuno trovi più affidabile quello che dà maggior voce alle proprie convinzioni personali, ma senza una adeguata e approfondita preparazione scientifica è molto difficile capire quali dati siano effettivamente più affidabili.

Quello che però appare lampante seguendo il dibattito è che gli effetti a lungo termine, soprattutto a microonde ad altissima frequenza come quelle del 5G, siano piuttosto sconosciuti e che insomma l’uso così massivo del 5G possa essere una specie di “salto nel buio”. Gli allarmismi che invece negli ultimi giorni hanno intasato i canali video perché si stanno riscontrando misurazioni di campo elettrico leggermente superiori a 6V/m, che in Italia è il limite stabilito dalla norma legislativa, lasciano il tempo che trovano. Il resto dell’Europa ha assunto come valore limite quello stabilito dall’Icnirp ovvero di 60V/m, quindi dieci volte superiore a quello italiano, un valore comunque 50 volte inferiore al valore considerato limite per la salute. E questo non ha fatto riscontrare una minor incidenza di malattie in Italia o una maggior incidenza nel resto d’Europa.

Un mondo sempre connesso. Ma è quello che vogliamo?

Immaginiamo un mondo sempre connesso, immaginiamo ogni persona collegata a tutti gli oggetti intorno a sé tramite una rete globale che interconnette contemporaneamente a tutte le persone e tutti gli smart-object del mondo. 
Al di là della previsione di come sarebbe l’uomo perennemente connesso, una pericolosa possibile involuzione antropologica rispetto a quello attuale che già non brilla per slancio eroico, al di là del fatto che le peggiori distopie cyberpunk si farebbero improvvisamente molto più attuali di quanto non lo siano mai state, diventerebbero reali anche molte fantasie narrative che si intravedevano in molti thriller o film di spionaggio, con un controllo remoto centralizzato che permetteva accesso a satelliti, telecamere, telefoni e qualunque smart-object diffuso in giro.

Avete presente la AI di Person of Interest? Diverrebbe realtà, così come diverrebbe realtà l’incubo da Grande Fratello di controllo continuo. E non è becero complottismo. Se c’è stato uno scandalo per la profilazione fatta da facebook – e non solo – che basava inserzioni personalizzate grazie all’analisi sulle ricerche google effettuate dal singolo utente o all’analisi delle parole che ogni utente utilizzava su Messenger o Whatsapp nei messaggi privati, immaginiamo quanto sarebbe facile una profilazione basata sull’utilizzo quotidiano dell’immensa quantità di smart-object che presto inonderanno il mercato. Ogni nostra azione verrebbe registrata in rete, per non parlare del continuo tracciamento di movimenti e posizione. Cosa di cui tra l’altro già si è iniziato a parlare proprio grazie al Covid-19, quando si è parlato del tracciamento tramite droni e app della popolazione per identificare i positivi o individuare gli assembramenti. Come se volessero farci passare il tracciamento come qualcosa che è per il nostro bene, così come avviene sempre quando si tratta di limitazioni progressive della libertà.

Il grosso problema politico e strategico del 5G

Ma tutto questo si somma a un altro grave problema che è del tutto politico. Chi controllerebbe tutto questo? Chi avrebbe le chiavi della connessione? Chi insomma sarebbe capace di profilare, controllare, tracciare e di accedere ai dati della rete? E anche qui pericolosissimamente il cyberpunk ci viene in aiuto. Non saranno certo gli Stati o i governi ma i privati, ovvero gli operatori a cui gli Stati si affideranno per la gestione, configurazione e costruzione della rete 5G. La stessa natura del 5G è poi molto pericolosa per la sicurezza dei dati. La grande velocità che la rete raggiungerà sarà ottenuta grazie a un approccio algoritmico chiamato network slicing, ovvero uno spacchettamento di dati che dà priorità ai dati ritenuti più importanti per ogni singola operazione o comando o richiesta. Mentre una volta ogni dato veniva “trattato” allo stesso modo, ora invece ogni operatore dovrà in qualche modo conoscere il contenuto delle informazioni che i propri clienti fanno viaggiare per poter applicare la gerarchizzazione che ottimizzi il tempo di trasmissione.

Il che se non è un problema quando passano richieste per dare comandi al robottino che pulisce casa, diventa un serissimo problema quando a transitare sono dati industriali, militari o strategici. Inoltre il network slicing rende di fatto la rete molto più vulnerabile. Essendo molto più ramificata e avendo tantissimi nodi che servono per lo spacchettamento, presenta di fatto più finestre di accesso per un possibile attacco informatico per accesso ai dati. O la possibilità di avere molte più backdoor di accesso da parte di chi ha configurato la rete “garantendo” allo Stato di non entrarci. Il che ovviamente regala le chiavi di tutti i propri dati a terzi non controllabili.

Se già un Zaia aveva preventivato di affidare agli israeliani il tracciamento della popolazione – cosa che purtroppo non ha alzato il dovuto sdegno da parte di tutto il mondo politico – immaginate cosa potrebbe succedere se davvero l’Italia, come sembra, affidasse la sua rete 5G alla cinese Huawei, che già era stata accusata dai servizi tedeschi di aver avuto rapporti con le agenzie di spionaggio cinese. Un problema non facilmente risolvibile visto che l’Italia da tempo ha svenduto o depotenziato i settori tecnologici più importanti e quindi non ha la forza di affrontare da sola una sfida come quella della rete 5G.

Sicurezza informatica

Dal cloud al 5G: ecco cosa dovrebbero fare le imprese italiane per superare la nuova crisi pandemica

Quante aziende hanno dovuto affrontare l’impatto provocato dalla pandemia in termini di vulnerabilità, rischi e strategie di cybersecurity?
Se non la totalità, parliamo di una percentuale estremamente elevata.

Le stesse aziende sono ora chiamate ad affrontare il problema di come muoversi per proteggere al meglio il loro business nei mesi e negli anni a venire. La pandemia di Covid-19 e il conseguente passaggio al lavoro da remoto, repentino per moltissime imprese nella prima fase dell’emergenza e divenuto consuetudine per una buona parte di esse nel corso di questi mesi, hanno impattato sulle infrastrutture It, accelerando l’adozione di Servizi Cloud e di tecnologie come VPN (Virtual Private Network) e software di collaborazione a distanza.

Non tutte le aziende, però, hanno potuto contare su un’adeguata formazione e, soprattutto, su una disponibilità di risorse utile a rispondere alle esigenze di maggiore sicurezza, aprendo di conseguenza le porte all’azione dei cybercriminali.

Il risultato, come confermato dagli esperti di Check Point Software in occasione della conferenza digitale italiana sulla cybersecurity, è stata un’impennata degli attacchi malevoli, fino al limite dei 210mila casi a settimana (e di questi il 94% sono tentativi di phishing) e un’offensiva di tipo ransomware ogni 14 secondi.

Le minacce in Italia, gli attacchi più recenti

Stando ai dati elaborati da Check Point e relativi agli ultimi sei mesi, un’ impresa della Penisola è attaccata in media 566 volte a settimana, contro i 355 attacchi subiti dalle aziende nel resto d’Europa.

A comandare la classifica dei malware a più elevato impatto c’è Emotet, che ha interessato il 17% delle aziende, mentre nell’elenco dei malware più diffusi compaiono 4 trojan bancari e 2 botnet.

L’89% dei file dannosi in Italia, si legge ancora nel rapporto della società israeliana, è stato consegnato via e-mail.

Fra i casi più rilevanti di attacco registrati nell’ultimo semestre spiccano quelli di Luxottica e del sito Email.it. L’azienda veneta è stata colpita a metà settembre da un attacco ransomware che ha portato alla chiusura delle sue attività in Italia e in Cina; la piattaforma di hosting ha invece subito una grave violazione lo scorso aprile, esponendo agli attaccanti 600mila dettagli dei propri utenti tra cui password in chiaro, domande di sicurezza, contenuti delle e-mail e allegati degli anni 2007-2020.

Gli oggetti connessi privi di protezione integrata

Nella fase di ripartenza post lockdown, i responsabili informatici delle imprese hanno delineato alcune priorità da seguire e quella che ha raccolto maggiori riscontri riguarda la necessità di rafforzare la sicurezza della rete e di lavorare sulla prevenzione delle minacce.

Altri temi ricorrenti sono quindi l’implementazione di soluzioni di security It/Ot (Information e Operational technology) e l’adozione di soluzioni per la protezione dei dispositivi mobile e dell’infrastruttura cloud. Secondo Check Point, inoltre, le aziende dovranno presto affrontare anche le sfide legate alla diffusione delle tecnologie IoT e dei servizi basati alle reti mobili 5G, per cui la componente di sicurezza è ancora lontana dallo stato di maturità.

Le prime, in particolare, presentano criticità aggiuntive rispetto ai tradizionali sistemi informatici perché i dispositivi connessi, nella maggior parte dei casi, non sono dotati di protezione integrata e della possibilità di installare patch, rendendo le relative infrastrutture più esposte anche fisicamente a rischi.

Il vademecum per ridurre i rischi

Operare in questa fase fortemente condizionata dall’emergenza sanitaria e dalle restrizioni legate alle misure anti-contagio implica per le aziende un’attenzione ancora maggiore per quanto riguarda la protezione di sistemi e dati. Gli esperti di Check Point, in tal senso, suggeriscono alcune “best practice” da osservare.

Gestire in modo adeguato gli accessi alle informazioni aziendali, in una fase in cui gli addetti lavorano da sedi diverse e attraverso molteplici dispositivi, è il primo passo per ridurre notevolmente il rischio di un attacco ransomware. Nel dettaglio, occorre segmentare le procedure di accesso in modo tale che ogni dipendente abbia a disposizione solo i dati necessari per svolgere le proprie funzioni.

La protezione dei dispositivi mobili, personali o aziendali, è invece una priorità associata all’incremento del lavoro a distanza e si accompagna all’adozione di sistemi di crittografia e di autenticazione a due fattori, piani di backup mirati e continui aggiornamenti. Un altro sforzo cui sono tenute le aziende, inoltre, è quello di impostare un sistema di password sicuro per accedere alle riunioni online (o almeno attivare una sala d’attesa utile a validare l’ingresso ai soli utenti autorizzati, in una fase in cui le applicazioni di videoconferenza sono uno degli strumenti più utilizzati.

Ottimizzare gli strumenti di sicurezza, attraverso un approccio basato sulla prevenzione degli attacchi (ancor prima che questi si verifichino), è infine altrettanto importante in relazione alla generazione di minacce rivolte contro le infrastrutture 5G e IoT.
Fonte IlSole24ore

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