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Avv. Gianni Dell’Aiuto
Per imprese e professionisti è soltanto un costo; per gli utenti è solamente una perdita di tempo perché “tanto ormai sanno tutto di noi, ci controllano, la privacy non esiste.” E con il semplicismo viene stravolta completamente una delle più importanti innovazioni della rivoluzione digitale che, invece, è stato concepito come strumento di protezione per gli utenti e, laddove ben applicato, si può rivelare formidabile strumento dell’organizzazione aziendale.

Facciamo una premessa di carattere concettuale che aiuta non poco a chiarire l’argomento. Basterebbe smettere di usare una volta per tutte di usare il termine privacy per rendere tutto più comprensibile. La privacy è il diritto alla protezione della nostra sfera personale; la privacy si può esemplificare nel divieto nei confronti di tutti di non essere spiati nelle nostre abitazioni e nei luoghi di lavoro. Il GDPR si occupa della protezione dati personali, vale a dire il dovere da parte di chi è in possesso dei nostri dati di ottenerli legittimamente, farne uso solo per ciò a cui  è stato autorizzato, non cederli a terzi e vigilare sulla loro conservazione. Deve evitare di perderli, che gli vengano sottratti e, nel contempo, consentire l’esercizio dei diritti garantiti dalla legge da parte di coloro che hanno riposto in lui la propria fiducia consegnandogli non solo nome e mail ma, di fatto, la loro vita privata.

Sono le due facce della stessa medaglia: da una parte chi consegna ad un’azienda o un professionista i propri dati personali e, dall’altra chi li deve conservare e proteggere.

Perché questa scelta da parte del legislatore europeo che ha voluto introdurre un sistema omogeneo in materia per tutta l’Unione? Quando non esisteva ancora internet il problema era meno sentito e probabilmente non si poneva, ma da quando il quotidiano si è digitalizzato sono sempre meno le persone che non utilizzano Internet. Dall’interagire al mondo del lavoro ed anche ormai nella Pubblica Amministrazione, il cambiamento radicale che Internet ha portato al nostro sistema di comunicazione è stato totale e non è possibile tornare indietro: semmai il contrario. Per poter funzionare, la rete ha bisogno di informazioni che costituiscono il suo carburante e queste informazioni, gestite da sofisticati sistemi di intelligenza artificiale e algoritmi, vengono ogni giorno immesse online dai navigatori. Pochissimi tra noi usano più prendere appunti su un taccuino o un diario e preferiscono archiviare qualsiasi cosa digitalmente, come informazioni bancarie, contatti, indirizzi, nelle memorie di un computer o dello smartphone. Questi dati sono inoltre diventati indispensabili alle aziende per poter conoscere la propria clientela, contattarla, fidelizzarla, offrire servizi customizzati e garantirsi la propria esistenza sul mercato.

L’UE si è quindi posta la domanda su come tutelare in primis gi utenti di internet da un uso sconsiderato o illecito dei loro dati e, allo stesso modo, mettere un argine a forme di utilizzo palesemente in divieto dei diritti dell’utenza. Ecco quindi che, nel 2016, nasce il General data protection regulation (GDPR) che dal maggio 2018 dovrebbe essere applicato da parte di chiunque gestisce, per contratto, necessità o legittimo interesse, i dati personali altrui.

Si tratta di una normativa complessa che, purtroppo, viene ancora considerata un eccesso di pezzi di carta ed inutile burocrazia nonché di costi; tuttavia è probabilmente un’importante passo avanti, o forse il primo, per creare la consapevolezza dell’importanza del valore dei dati e di come proteggerli sia un diritto di ognuno e un dovere di chi li detiene. Riflettiamo sulla circostanza che, oggi, il furto di dati online sembra essere il crimine più diffuso al mondo; non meravigliamoci. I dati personali valgono, si dice, più dell’oro e del petrolio messi insieme. Ecco il perché di una norma che, purtroppo, deve fare ancora molta strada prima di essere compresa dagli utenti e applicata dalle imprese.